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Le Abbazie

In Valle furono costruite numerose abbazie, come sedi monastiche per il supporto a chi faceva uso delle vie di comunicazione e come strategico controllo del territorio.

LA SACRA DI SAN MICHELE
La Sacra di San Michele è un complesso architettonico collocato sul monte Pirchiriano, all'imbocco della Val di Susa.

E’ il monumento simbolo della regione Piemonte.

Recentemente ristrutturato, è affidato alla cura dei padri Rosminiani.
Secondo alcuni storici, già in epoca romana esisteva, nel luogo in cui sorge ora l'abbazia, un presidio militare che controllava la strada verso le Gallie. Successivamente anche i Longobardi installarono in quella zona un presidio che fungesse da baluardo contro le invasioni dei Franchi.
Le fasi iniziali della nascita della Sacra di San Michele sono incerte e avvolte in un'alternanza di storia e racconti leggendari. Lo storico più antico fu un monaco Guglielmo, vissuto proprio in quel monastero e che, intorno alla fine dell’ XI secolo, scrisse il Chronicon Coenobii Sancti Michaelis de Clusa. In questo scritto, la data di fondazione della Sacra è indicata nel 966.
La struttura fu affidata ai monaci Benedettini e si sviluppò dando anche asilo materiale e conforto spirituale ai pellegrini che percorrevano la via francigena. A questo scopo fu costruita anche una foresteria, separata dal corpo principale dell’ Abbazia e capace di ospitare numerose persone.
Il Monastero Nuovo, oggi in rovina, venne edificato sul lato nord e aveva tutte le strutture necessarie alla vita di molte decine di monaci: celle, biblioteca, cucine, refettorio, officine. Di questa costruzione rimangono oggi solo dei ruderi affacciati sulla Val di Susa: era un edificio a cinque piani, la cui imponenza è manifestata dalle vestigia,muraglioni ed archi, pilastri che si possono intravedere. Svetta, su tutte le rovine, la Torre della bell'Alda, oggetto di una suggestiva leggenda: una fanciulla, la bell' Alda appunto, volendo sfuggire dalla cattura di alcuni soldati di ventura, si ritrovò sulla sommità della torre. Dopo aver pregato, disperata, preferì saltare nel burrone piuttosto che farsi prendere; le vennero in soccorso gli angeli e miracolosamente atterrò illesa ai piedi del monte. La leggenda vuole che, per dimostrare ai suoi compaesani quanto era successo, tentasse nuovamente il volo dalla torre, ma che, per la vanità di questo gesto, rimanesse uccisa nella caduta.
L'Abate Ermengardo, che resse il monastero dal 1099 al 1131, fece realizzare l'opera più ardita di tutta l'imponente costruzione, l'impressionante basamento che, partendo dalla base del picco del monte, raggiunge la vetta e costituisce il livello di partenza per la costruzione della nuova chiesa. Questo basamento è alto ben 26 metri ed è sovrastato dalle absidi che portano la cima della costruzione a sfiorare i 1.000 metri di altitudine rispetto ai 960 del monte Pirchiriano. Proprio la punta rocciosa del monte Pirchiriano costituisce la base di una delle colonne portanti della chiesa ed è tuttora visibile e riconoscibile grazie alla presenza di una targa riportante la dicitura: "culmine vertiginosamente santo" modo in cui amava definire questo posto il poeta rosminiano Clemente Rebora.
La nuova chiesa, che è quella attualmente agibile, è stata eretta su possenti strutture e sovrasta le più antiche costruzioni che sono state così inglobate. Questa costruzione dovette richiedere molti anni e il trascorrere del tempo è documentato nel passaggio che si trova all'interno delle campate tra il pilastro cilindrico e quello polistilo e nel variare del gusto che passa dal romanico al gotico francese sia nelle decorazioni che nella forma delle porte e delle finestre.

Dal protiro, altissimo a più piani, si accede allo Scalone dei Morti, così chiamato perché anticamente era fiancheggiato da tombe. Qui si trova la Porta dello Zodiaco, con gli stipiti decorati da rilievi dei segni zodiacali, che all'epoca erano un modo per rappresentare lo scorrere del tempo (quindi una sorta di memento mori). In questi rilievi si possono riscontrare influenze della scuola scultorea francese.

Gli interventi fatti per adattare lo sviluppo architettonico al particolare ambiente costituito dalla vetta del Pirchiriano hanno portato al rovesciamento degli elementi costitutivi fondamentali. In tutte le chiese la facciata è sempre localizzata frontalmente rispetto alle absidi poste dietro l'altare maggiore e contiene il portale di ingresso; al contrario, la facciata della Sacra si trova nel piano posto sotto il pavimento che costituisce la volta dello Scalone dei Morti. La facciata è sotto l'altare maggiore, ed è sovrastata dalle absidi con la Loggia dei Viretti, visibile dalla parte del monte rivolta verso la pianura.
Dopo seicento anni di vita benedettina, nel XVII secolo, la Sacra restò quasi abbandonata per oltre due secoli. Nel 1836 e Carlo Alberto di Savoia, desideroso di far risorgere il monumento che era stato l'onore della Chiesa piemontese e del suo casato, pensò di collocare, stabilmente, una congregazione religiosa. Offrì l'opera ad Antonio Rosmini, giovane fondatore dell'Istituto della Carità, che accettò, trovandola conforme allo spirito della sua congregazione.
Papa Gregorio XVI, con un breve dell'agosto 1836, nominò i Rosminiani amministratori della Sacra e delle superstiti rendite abbaziali. Contemporaneamente, il re affidò loro in custodia le salme di ventiquattro reali di casa Savoia, traslate dal Duomo di Torino, ora tumulate in santuario entro pesanti sarcofaghi di pietra. La scelta di questa antica abbazia evidenzia la prospettiva della spiritualità di Antonio Rosmini che, negli scritti ascetici, richiama costantemente ai suoi religiosi la priorità della vita contemplativa, quale fonte ed alimento che dà senso e sapore ad ogni attività esterna: nella vita attiva il consacrato entra solo dietro chiamata della provvidenza e tutte le opere, in qualsiasi luogo o tempo, sono per lui buone se lo perfezionano nella carità di Dio. I padri Rosminiani restano alla Sacra anche dopo la legge dell'incameramento dei beni ecclesiastici del 1867 che spogliava la comunità religiosa dei pochi averi necessari per un dignitoso sostentamento e un minimo di manutenzione all'edificio che conserva numerose opere d'arte.
Nel XX secolo particolare importanza riveste la visita di papa Giovanni Paolo II il 14 luglio 1991, nel corso della sua visita alla diocesi di Susa per la beatificazione del vescovo Edoardo Giuseppe Rosaz.
Umberto Eco ha inteso ambientare il suo romanzo “Il nome della rosa” proprio nella Sacra di San Michele che con la sua suggestiva struttura sapientemente illuminata è, di sera, visibile da gran parte della bassa valle e della zona ovest dei dintorni Torino.
Nell’ estate è spesso sede di prestigiosi concerti di musica sacra, particolarmente suggestivi nella splendida sede della chiesa nuova.

ABBAZIA DELLA NOVALESA

L’ atto di fondazione dell’ Abbazia dei Santi Pietro e Andrea, detta poi comunemente Abbazia della Novalesa, risale al 30 gennaio 726 ed è firmato dal signore franco di Susa, Abbone. Il primo abate del monastero fu san Godone.

I re francesi Pipino il Breve e Carlo Magno concessero all’ Abbazia numerosi privilegi, come l’  elezione libera dell’ Abate ed il pieni possesso dei beni attribuiti. Le proprietà dell’ Abbazia si estendevano fino all’ entroterra ligure.

Nell’ 817 Benedetto di Aniane, a seguito della riforma voluta da Ludovico il Pio, adottò definitivamente la regola benedettina.

La massima fioritura dell’ Abbazia fu nella prima metà del VII secolo.
L’ Abbazia fu distrutta dai Saraceni nel 906 e successivamente ricostruita nella prima metà dell’ XI secolo.

Nel 1646 i Benedettini furono sostituiti dal Cistercensi che vi rimasero fino al 1798 quando furono espulsi dal Governo provvisorio piemontese.

Napoleone , nel 1802, affidò la gestione dell’ ospizio sul valico del Moncenisio ai monaci trappisti di Tamié, con lo scopo di assistere le truppe francesi in transito. Dopo la caduta di Napoleone i monaci si spostarono alla Novalesa rifondandola.

 L’ Abbazia fu soppressa nel 1855 dal governo piemontese ed i numerosi ed importanti manoscritti furono trasferiti all’ Archivio di stato di Torino.

Nel 1972 il complesso fu acquistato dalla Provincia di Torino che lo affidò a monaci benedettini provenienti da Venezia.

L'abbazia di Novalesa è divisa in edificio monastico e chiesa abbaziale.

L'abbazia vera e propria, che conserva ancora tracce dei precedenti edifici, si sviluppa alla destra della chiesa e vi si accede tramite un portale che immette in un primo cortile, con portico a tre campate con volta a crociera sormontato da un loggiato. Tutto l'edificio monastico si sviluppa attorno ad un cortile centrale che ospita, al suo interno, le due ali superstiti del chiostro cinquecentesco, una con cinque ed una con sette archi a tutto sesto sorretti da tozze colonne cilindriche in mattoni prive di capitello. All'incrocio fra le due ali del chiostro, si eleva il campanile, costruito tra il 1725 e il 1730, la cui sommità raggiunge l'altezza di 22,50 metri[3].

La chiesa abbaziale, dedicata ai santi apostoli Pietro ed Andrea, è stata costruita nel XVIII secolo al posto di una preesistente chiesa romanica del XI secolo, della quale rimangono alcuni affreschi tra cui la Lapidazione di Santo Stefano[4]. La chiesa attuale è in stile barocco ed è a navata unica con volta a botte lunettata e due cappelle per lato; la lunga navata è per metà adibita a presbiterio, con il moderno altare maggiore marmoreo sormontato da un crocifisso ligneo ed il coro dei monaci, e termina con un'abside semicircolare. Sulla cantoria in controfacciata, si trova l'organo a canne[5], costruito da Cesare Catarinozzi nel 1725 ed in seguito oggetto di una serie di interventi. È a trasmissione integralmente meccanica, con un'unica tastiera di 50 note e pedaliera a leggio di 18 note costantemente unita al manuale. Di seguito, la disposizione fonica dello strumento:

SANT’ ANTONIO DI RANVERSO

Nella bassa valle si trova la precettoria di Sant’ Antonio di Ranverso.
Il complesso fu fondato nel 1188 da Umberto III di Savoia e dato in uso ai Canonici Regolari di Sant'Antonio di Vienne, con l'intento di creare un punto di assistenza per i pellegrini ed, in particolare, un centro di trattamento di coloro i quali erano afflitti dal "fuoco di sant'Antonio".

Infatti, anche Sant’ Antonio di Ranverso si trova sulla via francigena.

Con l'avvento dell'epidemia di peste della seconda metà del XIV secolo la precettoria ospiterà anche gli affetti da questa terribile malattia.

L'isolamento delle piaghe infette avveniva attraverso grasso di maiale per evitare l'espandersi dell'infezione. Il richiamo all'iconografia di Sant' Antonio abate è esplicita: il santo appare sempre accanto ad un maialino.
La precettoria subì, nel corso dei secoli, diverse ristrutturazioni che ne alterarono la forma originale.
Comprendeva inizialmente un ospedale, di cui rimane solo una facciata, la precettoria e la chiesa. La chiesa stessa appare oggi nello stile gotico-lombardo, del rifacimento dei secoli XIV e XV. Adiacente alla chiesa vi è il campanile, eretto in stile gotico dal 1300.
All'interno i muri sono decorati con numerosi affreschi a partire dal XIII secolo, alcuni dei quali dipinti da Giacomo Jaquerio agli inizi del Quattrocento. Fra le opere di questo artista si conserva inoltre la scena Salita al Calvario nella sacrestia, capolavoro dell'artista e del Gotico internazionale in Piemonte.
Nel presbiterio vi è un polittico di Defendente Ferrari del 1531, il quale include porte dipinte per la protezione dell'opera principale.
Nel 1776 papa Pio VI assegnò la proprietà della precettoria all'ordine Mauriziano, a cui è affidata tuttora.
All'interno della chiesa il soffitto è caratterizzato da volte a crociera. Il centro di ogni crociera è decorato con motivi differenti che raffigurano la storia della salvezza, dalla creazione del mondo alla resurrezione di Cristo.
Nella prima crociera è visibile un cerchio con stelle chiare su sfondo rosso e nero rappresentante la creazione.
Nella seconda crociera è visibile un decoro a bassorilievo rappresentante un angelo che rappresenta l'incarnazione di Gesù.
Nella terza un agnello indicativo del Natale.
Le ultime due crociere sono decorate rispettivamente con una stella rossa su fondo scuro a simboleggiare la morte di Gesù e una stella su fondo chiaro a simboleggiarne la resurrezione. Queste decorazioni sono originali, coeve con la costruzione della chiesa. La rappresentazione del sole nell'abside invece è di fattura successiva, probabilmente settecentesca.

ABBAZIA DI MONTEBENEDETTO
Il Monachesimo Certosino fu fondato da San Brunone. Nel 1084 egli chiese ed ottenne dal vescovo Ugo di Grenoble una impervia zona montana ove con l'aiuto di pochi compagni, fondò quella che sarebbe divenuta una della più grandi Certose di Francia, La Grande Chartreuse di Grenoble.
Nei decenni successivi l’ Ordine si espanse notevolmente ed al tempo del suo massimo fulgore, nel XIV secolo, si contavano in Europa ben 168 monasteri.
Nel 1189 alcuni monaci, distaccati dalla loro casa madre, ottennero dal conte Tommaso I di Moriana il territorio della Losa, sopra Gravere, dove costruirono un piccolo monastero. Successivamente lo stesso Tommaso donò loro un più ampio terreno sopra Villarfocchiardo, ad un’altezza di 1200 mslm, a Montebenedetto, dove venne costruita la chiesa con un importante complesso monastico.
 Nel 1473 una piena danneggiò la certosa di Montebenedetto e la comunità dovette trasferisrsi a Banda, mentre quello che rimaneva della precedente costruzione venne adibita a grangia per le attività contadine.
Dopo una successiva permanenza della comunità monastica ad Avigiana, i monaci si trasferirono di nuovo a Banda, fino alla fondazione, nel 1641, sotto la reggenza della Madama Cristina, della Certosa Reale di Collegno.
La storia della comunità si concluse con l’ invasione francese del 1700 ed al successivo scioglimento degli ordini monastici e la confisca dei relativi beni, nonostante un breve ritorno alla Certosa di Collegno dopo la Restaurazione.
La Certosa di Montebenedetto riveste un particolare interesse nell'ambito della storia certosina e più largamente nella storia delle strutture monastiche alpine. E’, infatti, una delle più antiche fondazioni dell'ordine certosino in Italia ma, a differenza di altre certose, è stata abbandonata in età ancora bassomedievale e non ha quindi subito le variazioni organizzative e planimetriche che hanno caratterizzato le altre certose all'epoca della Controriforma. E' quindi possibile attingere importanti e rare informazioni circa l'organizzazione delle strutture monastiche e produttive caratterizzanti la fase iniziale e medievale dell'ordine che, in questa realtà potrebbero essere presenti intatte ed in larga misura sotto la profonda coltre di detriti trasportati durante la piena che nel 1473 distrusse la certosa, mentre altrove tali tracce non sono più reperibili in quanto sepolte sotto nuove strutture. Nel suo complesso la certosa è vissuta approssimativamente dal 1198, epoca in cui si insediarono i certosini provenienti da La Losa (sopra Susa), al 1473 quando fu distrutta dall'alluvione. Quanto resta dell'attuale certosa è pertanto la struttura "congelata" nel tempo di una costruzione della metà del XV secolo.
Il perno di ogni complesso certosino era la chiesa. Le severe regole Certosine imponevano infatti che nel luogo prescelto per edificare un nuovo complesso abbaziale, doveva essere edificata a priori la "Casa di Dio" dove giornalmente si celebrava la messa.

La chiesa di Monte Benedetto risente degli stili, comuni e coevi alla nascita del movimento di S. Bruno, delle congregazioni di Chalais, di Citeaux e di Grandmont che avevano abbracciato gli ideali di povertà e di semplicità nell'ambito della riforma ecclesiastica del XII secolo e conservava queste caratteristiche anche alla metà del XV secolo.
Nel caso di Monte Benedetto la chiesa è l'unico manufatto del complesso certosino che si è mantenuto interamente. Essa misura 23.70 x 6.90, è illuminata da tre finestre per lato, a profonda strombatura ed arco a tutto sesto con dimensioni di 1.85 per 0.85 m all'esterno. Il presbiterio ha l'abside piatta, caratteristica di tutte le certose, orientata a levante e più stretta della navata (5.78 m); la volta a botte a pieno sesto ha un'altezza di 10 m; lo spessore dei muri a terra è di circa 1.60 m.; sul lato sinistro dell'altare in pietra si accede alla sacrestia tramite una porta che attraversa un muro di 2 m. di spessore all'interno del quale è stata ricavata una scala che permette l'accesso al sottotetto.
Nella facciata principale a ponente si aprono una finestra romanica ed una massiccia porta con gli stipiti in blocchi di pietra e un monolito per architrave; in origine l'ingresso era sovrastato da un portico la cui esistenza è comprovata dalla presenza delle mensole a rostro di rostri nelle loro sedi.
Originariamente nelle pareti nord e sud si aprivano l'una di fronte all'altra due porte poste a circa 11.70 m dalla facciata quindi a metà chiesa. Dalla lettura della giacitura murale si leggono bene le tre fasi costruttive della chiesa che l’hanno portata ad essere quella attuale.

Secondo gli usi certosini i monaci non accedevano al coro tramite la porta di facciata che rivestiva poca importanza (tanto che alla certosa di Banda non era neanche presente). In particolare a Monte Benedetto l'ingresso dei monaci avveniva dal lato nord che comunicava con il chiostro grande.
All'interno della chiesa è visibile, sulla parete sud, quasi all'angolo della facciata, un'altra porta di circa 2.20 x 1 m. sopraelevata all'interno rispetto al pavimento di 0.50 m. (erano sicuramente presenti un paio di gradini); era la porta tramite la quale i conversi accedevano al loro coro. La porta dei conversi conferma la posizione lungo il fianco sud della chiesa del piccolo chiostro (la cui copertura è ancora denunciata dai rostri in pietra), sul quale doveva affacciarsi anche il refettorio.
Punto focale di ogni certosa era il passaggio fra il chiostro grande e la chiesa. I monaci di Monte Benedetto risolsero il problema erigendo un portico sulla facciata nord della chiesa di cui rimangono ancora le mensole. Per quanto concerne il chiostro grande, l'ubicazione delle celle si trovava sicuramente attorno all'area est della chiesa e sul lato nord; ci sono invece incertezze sul lato sud dove la distruzione ad opera della piena fu pressoché totale.
L'intero complesso della casa alta era circondato da un muro di cinta a tratti ancora visibile nella parte nord-ovest; resti sono invece presenti a monte del pianoro sul lato sud del complesso.
Durante i mesi estivi viene utilizzata al fine di promuovere manifestazioni turistico culturali.

E’ stata inoltre allestita nella chiesa una mostra permanente che illustra il mondo certosino e la storia della certosa, mentre nelle immediate vicinanze è stato realizzato un sentiero "autoguidato" con la descrizione dei vari edifici che facevano corona alla chiesa dei quali, come già evidenziato, non rimangono che poche tracce.

Grazie all’acquisizione al patrimonio della Regione Piemonte nel 2009 la sua gestione è stata affidata al parco Regionale Orsiera Rocciavrè dopo un importante ciclo di restauri che hanno reso fruibile la chiesa e la foresteria. Quest’ultima a disposizione di turisti ed escursionisti di passaggio.

 

2013-05-05_Paolo Tonarelli